Bolzano ha recentemente vissuto la pacifica invasione di 250-300.000 alpini. Gente legata in qualche modo alla montagna. Alcuni lì hanno combattuto o hanno avuto genitori e nonni alpini che lo hanno fatto, altri ci hanno fatto il servizio militare. Tutti portano quel nome che ricorda scalate, e l’abitudine a guardare verso l’alto. Molti di loro non sono nati in mezzo alle montagne, ma hanno imparato ad amarle, forse qualche volta anche a odiarle, ma mai a dimenticarle.
C’era un uomo, vissuto tanto tempo fa, che non era certo abituato alle scalate. Non era mai stato un montanaro e di montagne ne deve aver viste ben poche per i suoi primi quarant’anni di vita.
L’avevano trovato neonato dentro un canestro fatto di giunchi, spalmato con bitume e pece, in un canneto sulla riva del Nilo. Era cresciuto alla corte di Faraone, tra studi e ozi. Poi, dopo un moto di ribellione contro un’ingiustizia, si ritrovò di colpo costretto a scappare e pascolare pecore per altri quarant’anni. E anche lì non c’erano tante montagne.
Un giorno però si spinse fino ai piedi di un monte, non proprio una montagna, ma pur sempre più alto di ogni altro luogo dove era abituato a stare. Ed ecco che vide un arbusto bruciare, e una voce che lo chiamava. Qualcuno gli stava affidando un compito, un grande compito del quale non si sentiva all’altezza.
Passò ancora un po’ di tempo, tante cose erano successe nel frattempo, cose incredibili e meravigliose. Ora era a capo di un popolo, con una meta da raggiungere. Si ritrovò di nuovo ai piedi di quel monte e con una irrefrenabile spinta a salire. E ancora fuoco, fumo e un gran tremore tutto intorno. E sempre quella voce, che lo chiamava da sopra al monte, che gli parlava: “Io sono il Signore, il Dio tuo…”[1].
Il Signore gli stava parlando, gli stava spiegando quella che era la sua volontà e la scolpì, la incise sulla nuda pietra. E sul suo cuore, per sua e nostra memoria.
Mosè, il nobile. Mosè, il pastore. Mosè, il capo di un grande popolo. Mosè che dovette imparare a scalare una montagna, per trovarsi a parlare con Dio.
Non so quanti di quelli che ci leggono sono stati alpini. Tutti noi che viviamo a Bolzano e dintorni abbiamo però i monti sempre lì davanti ai nostri occhi. Ci circondano, da ogni lato. Molti di noi le hanno anche scalate alcune di quelle montagne. Conosciamo quindi, dopo la fatica, la gioia di essere arrivati in alto, di aver raggiunto la cima. Credo che molti di noi abbiano anche provato, in quei luoghi, un senso di maggiore vicinanza a Dio.
Per trovare Dio però non serve salire una montagna. Per ricevere il suo aiuto, la sua Parola che ci guida e conforta non serve fare scalate. Basta alzare il nostro sguardo, magari proprio verso un monte…
Alzo gli occhi verso i monti…
Da dove mi verrà l’aiuto?
Il mio aiuto viene dal SIGNORE,
che ha fatto il cielo e la terra.
Egli non permetterà che il tuo piede vacilli;
colui che ti protegge non sonnecchierà.
Ecco, colui che protegge Israele
non sonnecchierà né dormirà.
Il SIGNORE è colui che ti protegge;
il SIGNORE è la tua ombra; egli sta alla tua destra.
Di giorno il sole non ti colpirà,
né la luna di notte.
Il SIGNORE ti preserverà da ogni male;
egli proteggerà l’anima tua.
Il SIGNORE ti proteggerà, quando esci e quando entri,
ora e sempre. (Salmo 121)
Cari amici alpini, cari amici di questa bella terra di montagna, il nostro augurio è che ognuno di voi sappia trovare veramente Dio. Dalla cima di un monte, o dall’intimità della propria stanza.
Noi lo abbiamo incontrato, non perché siamo abili scalatori, ma perché abbiamo alzato il nostro sguardo verso quel Signore che ci ama. Poi ci ha anche chiamato a diventare suoi portavoce, come ha chiamato Mosè, come chiama chiunque si rivolge a Lui e decide di seguirlo. Che bello poter annunciare la sua salvezza, il suo vangelo, la sua buona notizia!
Quanto sono belli, sui monti, i piedi del messaggero di buone notizie, che annuncia la pace, che è araldo di notizie liete, che annuncia la salvezza… (Isaia 52:7)
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[1] Esodo 20:2